Cartolina da Mostar

Mostar-Narenta

[Il ponte prima]

Un carissimo amico, da tempo coinvolto nelle faccende della cosiddetta Ex-Jugoslavia, ha scritto una cartolina da Mostar.

Eccola.

Cartolina da Mostar

Cade una pioggia battente accompagnata da raffiche di vento pungente, è impossibile tenere testa a una perturbazione così impetuosa anche se davanti a noi si presenta uno dei luoghi più belli dell’ Herzegovina, la città di Mostar con il  famoso Stari Most.

Sotto di noi la Neretva che nel suo percorso tra Jabuka e Ploce, dalle Alpi Dinariche al Mar Adriatico, raggiunge Mostar spinta da un vortice gelido di acque desiderose di arrivare al mare, ma che sotto il ponte rallentano in segno di rispetto per colui che ha osato sfidare il cielo con un impossibile arco a schiena d’asino.

La pioggia scivola via veloce, da una parte all’altra del ponte che non è più quello del suo costruttore Mimar Hajrudin, ma una copia mal riuscita; dal novembre del 1993  a ricordarlo c’è una pietra con scritto: don’t forget.

[Sul Ponte Nuovo di Mostar]

E’ sera, siamo stanchi, impreparati ad affrontare contemporaneamente un tempo e una storia malati.

La mattina seguente il tempo è cambiato, non troppo sole, ma nemmeno troppe nuvole, sicuramente ancora freddo;   il desiderio di scoprire cosa non dovremmo dimenticare ci spinge a visitare la nuova città vecchia.

Conosciamo  la storia degli ultimi vent’anni di questa città, abbiamo la presunzione che nulla ci possa stupire, di certo non una città ricostruita per i turisti mentre tutto intorno  si sente odore di ipocrisia.

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[Il ponte in ri-costruzione]

Leggendo una guida locale della città, apprendiamo che i “ servi del Male distrussero il Ponte Vecchio” mentre “ lo spirito invincibile del Bene sopravvisse e continuò a vivere su entrambe le rive della Neretva”. Troppo facile scartare la storia con la retorica lotta tra il Bene e il Male, così facendo il ponte non sarà mai attraversato dal cammino della riconciliazione. A confermare questo pensiero la vista di una minacciosa e enorme croce che incombe dall’alto della collina sopra la città.

Alla fine però è impossibile resistere al fascino di questo luogo, non solo per la sua architettura e storia, ma anche per l’artificioso gioco dell’acqua che passa sotto e dentro la città con due fiumi, Radobolja e Neretva, l’uno sopra l’altro a 24 metri di dislivello.

Un altro è il luogo che adesso ci interessa visitare, si trova dalla parte ovest della città, al di là del Boulevar di Mostar, dove correva la linea del fronte della sanguinosa  guerra balcanica: è il Cimitero Monumentale  Partigiano ( Partizansko Groblje). Ci accompagna il fratello sessantenne del titolare dell’hotel dove abbiamo trascorso la notte, sembra incredulo nel vedere che qualche turista si interessi a  questo monumento nazionale  dedicato a tutti coloro che furono uccisi sul Fronte Nazionale di Liberazione. Incredulo perché l’opera più famosa dell’architetto, urbanista, sindaco di Belgrado Bogdan Bogdanovic’, è oggi in uno stato di abbandono e degrado totale.

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[Cimitero Monumentale Partigiano ( Partizansko Groblje)]

Il monumento resiste con grande fatica alle continue violenze che subisce: vetri rotti, bottiglie di birra, sporco, scritte oscene, simboli nazionalistici, giorno dopo giorno cercano di spegnerne il grande impatto emotivo che ancora suscita sul visitatore.

Bogdanovic’ sembra vittima della sua stessa intuizione “urbicidio”, parola che coniò per definire l’impietoso attacco alle città che la guerra di disgregazione della Jugoslavia stava compiendo; una aggressione che ha investito i suoi monumenti, ma soprattutto anno dopo anno ha strappato le pagine ai suoi visionari romanzi epici fatti di cemento.

Passeggiando per questa immensa opera monumentale si è attraversati da un duplice sentimento che passa dall’ammirazione e il trasporto verso l’edificio e la tristezza, mista a rabbia, verso tutti coloro che ne stanno abbruttendo il valore.

Bogdanovic, nelle sue opere, lascia libero il visitatore di viaggiare con l’immaginario, affidandogli significati multipli all’interpretazione del suo lavoro. Non c’è retorica, nessuna forma celebrativa del potere, ma sapiente uso del simbolismo arcaico e surrealista immerso in una attenta cornice paesaggistica dove la natura è parte dell’opera. Emergono così gli elementi fondativi della civiltà umana, proiettati in un ambiente magico e sospeso a significare che il nostro futuro non è già scritto, ma è un fiume che si alimenta della nostra capacità di fare memoria del passato. E’ un grande inno alla vita e alla difesa della giustizia e della libertà. Il visitatore non è mai intrappolato nel luogo monumentale, ma trae da questo ambiente spunti visivi verso gli elementi

[Il ponte nuovo]

[Il ponte nuovo]

costitutivi della società umana.

Il nostro accompagnatore esprime più volte il suo risentimento nei confronti della città e dei suoi cittadini che stanno calpestando l’insegnamento del l’ ex sindaco di Belgrado, riparato a Vienna per le sue posizioni di dissenso verso la politica di Tito.

Il suo rammarico è soprattutto rivolto al presente che si lascia intrappolare nella sterile estetica dello Stari Most lasciando che, dietro le quinte, vengano abbandonati e violati i luoghi della grande creatività artistica di  umanisti come Bogdan Bogdanovic.

Ci allontaniamo da Mostar in un vortice di pensieri, la nostra improvvisata guida ci saluta da lontano affidandoci l’ingrato compito della denuncia mentre davanti a noi scorre l’insegna stradale di Medugorje, ma questa è un’altra storia.

 

Agostino Zanotti

14-15 Marzo 2013

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